SABATO SANTO - Processione dei Misteri (Chiesa del Carmine)



La processione del Sabato Santo è organizzata dalla sola Confraternita del Carmine.
La tradizione, risalente almeno alla metà del XIX secolo, vuole che ogni anno il corteo si riunisca nella Chiesa del Carmine alle prime luci dell' alba per poi concludersi, nuovamente al Carmine, intorno al mezzogiorno.
Ciò che la processione "mette in scena" dovrebbe, a rigor di logica, riferirsi a eventi occorsi il Venerdì Santo e, infatti, fino alla metà degli anni '50 del Novecento veniva effettuata proprio il venerdì.
Le motivazioni dello slittamento alla mattina del sabato Santo sono molteplici e complesse e, in parte, perse lungo gli anni di una trasmissione prevalentemente orale della memoria comune.
Sullo sfondo, comunque, pare aver giocato un ruolo determinante la consistenza numerica della Confraternita, di gran lunga la più numerosa a Mottola, in grado di imporre e di ottenere una certa autonomia e distinzione tale da giustificare tale discronia.

Alle cinque del mattino, per le strette vie del centro storico, il paese si sveglia al suono delle tric trac. Verso le cinque e mezza tutte le statue della processione sono disposte lungo la via, fuori dalla sede della Confraternita e i confratelli sono ai loro posti. Si dà così inizio alle manovre per issare le statue sulle spalle dei portatori.
Le statue, anche durante i primi momenti di stasi, danno l' impressione di essere vive per il movimento oscillatorio prodotto dai portatori, i quali spostano alternativamente il carico su un piede e sull' altro per alleviare gli effetti del grande peso.
Ogni Mistero è portato a spalla da quattro uomini che si danno di tanto in tanto il cambio con altri quattro che li affiancano durante tutta la marcia. In caso di momenti di arresto molto prolungati alle spalle dei portatori si sostituiscono bastoni di supporto per sostenere la statua (forcelle).
Il ritmo della processione è scandito dalla bassa musica eseguita da un complesso bandistico e da un troccolante, posti in testa al corteo, che impongono un passo grave e cadenzato che favorisce nei partecipanti la preghiera e l' adorazione.
In fondo, a seguito della bara di Gesù, la banda composta da circa una trentina di elementi suona la marcia funebre. Qualcuno si unisce alla fine del corteo dove il Parroco, che precede la statua dell' Addolorata, inizia le letture e i racconti della Passione.
Dalle porte e dalle finestre la gente inizia a sporgersi per vedere la processione che si allunga per almeno un chilometro.
La struttura della processione, molto rigorosa, fa pensare alla grande importanza data al valore estetico della "rappresentazione": l' ordine è studiato nel particolare, ognuno ha un posto e un incarico, ma durante le sei ore di marcia non sempre il corteo riesce a mantenere compostezza.




























Questa varia in base al percorso più o meno centrale che la processione attraversa: nelle vie del centro, infatti, dove gli spettatori sono più numerosi, le scompostezze e le sfilacciature si ricompongono nell' ordine originario.
I confratelli della Confraternita del Carmine sono accomunati da un fortissimo spirito penitenziale che li porta a procedere scalzi e con la corona di spine.
La processione è aperta dalla bassa musica, immediatamente seguiti dai membri della Confraternita muniti di troccola (tric trac) e bandiera listata a lutto.
Quindi fanno la loro comparsa, secondo un preciso ordine, i gruppi statuari di dodici Misteri della Passio Christi: Cristo nell' orto degli ulivi; Cristo alla colonna; Hecce Homo; la Caduta; la Veronica; la Serafina; Cristo alla Croce; la Deposizione; la Pietà; il Calvario (Croce dei Misteri); Bara del Cristo Morto; Addolorata.
La Bara del Cristo Morto e l' Addolorata, a differenza degli altri Misteri portati in processione, sostano qualche minuto in ognuna delle chiese cittadine incontrate lungo il percorso.Inserisci link
Su due file, sei bambini e quattro adulti, disposti a coppie, precedono il primo Mistero: Cristo nell' orto degli ulivi.




























Il gruppo statuario che apre la processione del sabato mattina appare immediatamente più complesso rispetto a quello, col medesimo soggetto, del venerdì: l'ulivo posto nella parte posteriore sinistra della statua è ricco e rigoglioso, sorretto alla base da un tronco giovane e resistente, indice per altro di una maggiore attenzione al realismo da parte dell' autore.
Davanti all' albero troviamo, a partire da sinistra, il Cristo (rappresentato con le stesse vesti e colori di quello del venerdì: le braccia conserte e la fronte bassa ci mostrano un Gesù inedito, addolorato e preoccupato dalla vista dell' "amaro calice" sorretto dall' Angelo.
Quest' ultimo, di carnagione rosea e coperto da una tunica dorata, si trova alla sua destra, inclinato verso il Cristo, la mano sinistra a toccarne con intento consolatorio la spalla mentre nella destra sta il calice dorato.
Le ali, sfumando da un colore che va dal porpora al celeste, sono distese lungo tutta la schiena.
Preceduto da otto confratelli disposti in fila e a coppie avanza quindi il secondo gruppo statuario, quello dedicato a Cristo alla colonna.
Al centro della composizione troviamo il Cristo, subito davanti alla colonna in marmo, affiancato a destra e a sinistra da due romani entrambi con i flagelli in mano. Gesù viene rappresentato con il semplice perizoma, il petto e le gambe nude e coperte di ferite, la figura piegata dal dolore e dalle sferzate dei flagelli.
Il romano di destra indossa pantaloni lunghi fin sotto il ginocchio, marroni e una camicia bianca in parte coperta da una corta giacca verde; porta barba e baffi lunghi e nella mano destra stringe il flagello.
Il romano di sinistra indossa un abito dello stesso tipo, ma con pantaloni verdi e giacca gialla; impugna anch' egli un flagello nella mano destra.
Interessante notare come i personaggi in questione non siano raffigurati con le tipiche vesti alla romana, gli indumencta, costituiti dalla semplice toga (o tunica) in due pezzi, bensì con abiti più simili a quelli che l' iconografia solitamente presenta addosso ai Giudei.




























Ancora otto confratelli a coppie, quindi il terzo mistero, l' Ecce Homo.
Diversamente dal venerdì non è Cristo il solo personaggio rappresentato; il centro dell' opera è occupato da un romano, pantaloni marroni fin sotto il ginocchio, camicia bianca, giacca gialla e copricapo rosso.
Questi è piegato verso la figura del Cristo (vestito con la stessa tunica del Mistero del venerdì) che, piegato a causa delle ferite e delle persecuzioni, si inginocchia sorreggendosi sulla sola gamba sinistra.
Le mani sono legate da una fune alla quale è a sua volta fissata una canna (messagli in mano come parodia dello scettro legale, al pari della corona di spine in luogo della corona d' alloro), mentre il volto è contorto dalla sofferenza, resa più acuta dal romano che, con un' altra canna, tormenta ulteriormente le ferite procurate dalle spine.
Seguono tre coppie, quindi compare un Mistero non presente nella processione del giorno precedente, la Caduta, che riassume le tre cadute solitamente presenti nella Via Crucis tradizionale. L' episodio non è narrato nei Vangeli, ma vi si possono trovare riferimenti nei Salmi.
Gesù, vestito di un' unica tunica rossa e con la corona di spine, è accasciato a terra.
La spalla destra regge ancora il peso della croce (costituita da assi strette color mogano), e sopra di lui sta un romano in pantaloni verdi stretti in vita da una cinta rossa, e camicia bianca: nella mano destra stringe un flagello che sembra ammonire Gesù, il quale non può riposarsi ma è obbligato ad alzarsi per proseguire l' ancora lungo cammino.
La sequenza si riferisce agli accadimenti successivi alle umiliazioni perpetrate dai soldati romani nel Pretorio: Gesù è costretto a trascinare la pesante croce in legno su cui verrà crocifisso fino al Golgota, letteralmente il "luogo del cranio".
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Preceduta da tre coppie di confratelli ma portata a spalla da alcuni giovani confratelli, la statua della Veronica (per i problemi che questa figura suscita rimandiamo alle descrizioni del venerdì) si differenzia profondamente da quella del venerdì.
Se da una parte anche la Serafina del Sabato Santo viene rappresentata con le braccia aperte nell' intento di mostrare la tunica rossa del Cristo, dall' altra il significato profondo che traspare dall' opera è quello di una figura non più umana ma bensì angelicata.
Il volto, rivolto verso l' alto, appare illuminato dalla misericordia del Signore; la lunga veste celeste, con relativa sottoveste di colore rosa, riproduce la tinta della volta del cielo.
I lunghi capelli rossi cadono lungo la schiena fino ad arrivare a toccarle le ali, assenti nella statua del venerdì, che appaiono distese e lunghe fin sotto la vita, realizzate con colori sfumati dall' azzurro, all' oro, al rosa.
Preceduta da due coppie di confratelli e scortata da un' altra coppia, la statua della Serafina viene portata da giovani novizi, vestiti comunque con l' abito confraternale.
Dal solo punto di vista cromatico, escludendo i capelli, la forma e il colore delle ali che restano immutati, la Veronica appare complementare alla figura precedente: dove la prima indossa un abito celeste con sottoveste rosa, qui vediamo una donna in abiti rosa con sottoveste celeste.
Tra le mani regge il sudario bianco su cui è impresso il volto di Cristo.




























Seguono quattro coppie di confratelli, quindi viene il gruppo statuario del Cristo alla Croce, profondamente diverso da quello del venerdì.
La croce, la cui base è costituita da una pietra appoggiata su una porzione di suolo, è realizzata con assi di legno piallate e squadrate con precisione e appare, rispetto all' iconografia abituale, poco rispondente.
All' apice della croce ritroviamo la pergamena in legno del Mistero del Calvario.
Il Cristo nudo, con il solo perizoma bianco e di carnagione chiara, viene rappresentato nel momento successivo l' esalazione del suo ultimo respiro: la testa oramai è reclinata, gli occhi chiusi, il corpo martoriato appare abbandonato.
Ai piedi della croce, sulla sinistra della statua, si colloca il personaggio di Maria: uno scialle bianco le copre i capelli e una stoffa dorata, a partire dalla spalla destra e lungo la schiena, le arriva fino ai piedi.
La Vergine viene rappresentata in ginocchio, la testa alta a guardare il corpo morto del figlio, la mano sinistra è tenuta bassa - quasi a cercare un invisibile sostegno - mentre la destra è rivolta verso Gesù, verso il cielo, ad attutire il senso di distacco che sembra dominarla.
Se il venerdì venivano presentati gli ultimi istanti di vita di Cristo, in questa statua quel che appare è l' angoscia della madre, un pianto disperato che riesce tuttavia a farsi più aggraziato nella trasposizione artistica.
Sulla destra della croce troviamo una piccola urna, assente nelle descrizioni evangeliche, che potrebbe addirittura suggerire, qualora la si interpreti quale contenitore di unguenti profumati, che la donna effigiata nel Mistero sia Maria Maddalena, presente ai piedi della croce e solitamente denotata da un vasetto per olii profumati come attributo iconografico.
Il Mistero della Pietà segue come ottavo, preceduto da quattro coppie di confratelli.
Analogamente all' omonimo del venerdì, anche in questo Mistero troviamo la croce, nella parte posteriore del complesso, realizzata con le stesse forme e materiale della croce del venerdì, ma di colore più scuro, al cui apice è fissata la pergamena presente anche nel Mistero precedente.
A destra e a sinistra è adagiato il bianco sudario di Cristo.
La base della croce è costituita da una pietra regolare sulla quale è seduta la Vergine, con la consueta veste rossa e il manto azzurro scuro.
Ricalcando la posa michelangiolesca, ormai divenuta l' iconografia più diffusa, Maria sorregge con il braccio destro la schiena del figlio, mentre il sinistro è posato sul ginocchio sinistro, sfiorandone la mano.




























Scortato da otto confratelli, il nono Mistero è quello definito della Deposizione di Cristo, sebbene in realtà rappresenti più il trasporto del suo corpo: non è raffigurato il momento in cui Giuseppe di Arimatea depone il Cristo dalla croce, come nel Venerdì Santo, ma la scena successiva del trasporto fino al Sepolcro.
Centro focale dell' attenzione è il corpo esanime del figlio di Dio, mentre a destra e a sinistra troviamo rispettivamente Nicodemo e Giuseppe di Arimatea.
Il primo indossa una tunica arancione e un copricapo bianco e con entrambe le braccia regge il corpo di Cristo guardandone il volto.
Il secondo, invece, veste una tunica verde chiaro e un velo sul capo di colore rosso; con le braccia sostiene le spalle di Gesù, il capo e lo sguardo rivolti pietosamente al suo viso.
Il corpo nudo del Salvatore, braccia e gambe abbandonate alla gravità, è già stato in parte coperto nel sudario funebre.
Dopo tre coppie di confratelli appare in processione il Calvario (Croce dei Misteri), che il giorno precedente apriva la serie delle statue e il sabato è posizionata come decima.
Il soggetto è il medesimo, ma i singoli strumenti sono presentati in un ordine differente e con piccoli cambiamenti.
Innanzi tutto la croce non è più costituita da due pali di legno grezzo, ma da travi squadrate e issate su un capitello dipinto come fosse marmo.
Da sinistra a destra, sul braccio orizzontale, troviamo la lancia, la scala, il martello,la lanterna e la mano;al centro un' icona col volto di Cristo, ma questa volta l' immagine è scrupolosamente elaborata, anche i più piccoli dettagli del volto sono specificati in un trionfo di rosa , marrone e oro.
Sul braccio destro stanno il calice, la sacca dei trenta denari, il gallo, una seconda scala e la canna con il cima la spugna dell' aceto.
Adagiato tra la mano ed il calice è presente un sudario bianco disteso fino a circa metà della croce.
Sul braccio verticale, sopra l' icona, troviamo la pergamena già vista nei Misteri precedenti, mentre al di sotto di essa i tre chiodi, i tre dadi e una piccola riproduzione della veste rossa di Cristo.
Alla base, dove il legno si innesta nel capitello e si incrociano le estremità delle scale, della lancia e della canna, è posta la corona di spine.
Sul capitello stesso sono apposti i due flagelli incrociati, mentre ai suoi piedi un teschio: Golgota significa infatti "luogo del cranio".


Dopo il passaggio di questi primi dieci Misteri,segue un primo gruppo di consorelle della Confraternita del Carmine riconoscibili dal diverso scapolare e dall' assenza nell' abito rituale della mozzetta (prerogativa maschile) e disposte come segue: sei file di quattro donne ciascuna delle quali, quelle poste alle estremità delle prime due file, reggono anche una lancia.
Seguono quindi gli strumenti della Passione, retti sempre da consorelle, in quest' ordine: scala, croce, spugna e lancia, quindi sei file di quattro luciferi ciascuna, quindi scala, croce e spugna, quindi sei file da cinque luciferi ciascuna, con portatori di lancia ai lati, quindi scala, lancia e spugna.
Segue ancora una fila da cinque luciferi, gli estremi con le lance e i tre all' interno con scatole per raccogliere le offerte.
Segue la banda, composta da circa trenta elementi, impegnata nella esecuzione di famose marce funebri appartenenti alla tradizione tarantina, quindi il Consiglio della Confraternita e il Comando dei Carabinieri in alta uniforme.
Dopo questo drappello si posizionano gli ultimi due gruppi statuari: la Bara del Cristo Morto e l' Addolorata.
Subito dietro i Carabinieri, due confratelli portano delle lucerne issate su alti bastoni, mentre la bara sorretta per mezzo di un telaio di legno sopra il quale è poggiata - è portata da quattro confratelli che ciclicamente si danno il cambio con altrettanti, in cammino accanto a loro.
Il Mistero è del tutto simile a quello portato in processione il Venerdì Santo, tranne che per due particolari: l' assenza del baldacchino di legno, sostituito dal velo di pizzo poggiato sopra i pilastri costituiti dagli angioletti; i simboli della passione tenuti in mano da quegli stessi angioletti intestati agli angoli dell' opera che, in questo caso, sono chiodi, flagello, scala e martello.
Accanto alla bara, cinque per lato, le dolenti vestite col nero del lutto e il capo chino pregano con le mani strette l' una al Rosario e l' altra ai lembi della copertura di pizzo.
Seguono quattro file da tre confratelli ciascuna, e quindi la banda, composta da una trentina di elementi, anch' essi disposti ordinatamente in fila.
In coda agli strumenti, altre sette coppie di incappucciati e un troccolante, per poi lasciare spazio al parroco e ai chierichetti.


L' ultima statua della processione, l' Addolorata, è scortata da quattro confratelli di cui due recanti le alte lucerne già viste in precedenza. La Vergine è posta sopra un piedistallo ligneo arricchito da fregi dorati. Al centro del piedistallo è possibile notare un cuore.
La Vergine, realizzata secondo gli stessi principi del Mistero del venerdì (in piedi con la fronte alta, le braccia aperte e il sudario funebre di pizzo bianco), indossa una veste nuovamente scura ma decorata con pizzi e merletti in fili d' oro di grande magnificenza, un tripudio di gigli e volute alquanto complessi. Il mantello, anch' esso scuro, mantiene la stessa decorazione della veste ma è arricchito di stelle a sette punte in oro, simbolo della volta celeste.
Due ultimi confratelli precedono lo scarno gruppo di fedeli che, per penitenza o per altri motivi personali, decidono di seguire la processione anzichè vederla sfilare.
Le strade si trasformano in un enorme teatro nel quale vanno a confondersi attori e spettatori e rito e teatro. Tutte le case che si affacciano sul percorso sono aperte a passanti e confratelli per offrire un momento di ristoro e aiuto, segno che la processione è della comunità ed è un momento di grande accoglienza e comunione. Come se i confratelli sfilassero in processione in nome anche di coloro che non possono o non se la sentono. L' atto di fede non viene sentito solo da chi partecipa attivamente ma è come se la rappresentazione servisse a cancellare i peccati di tutto il paese. E' la comunità che dimostra la sua fede e la grandiosità della manifestazione sembra direttamente proporzionale alla fede espressa dalla stessa.
Proprio perchè attraverso la processione si cerca di indurre alla fede e a richiamare nei presenti il senso di appartenenza si può parlare di performance riflessiva in cui "un insieme di esseri umani può arrivare a conoscersi meglio osservando e/o partecipando a performance prodotte o presentate da un altro insieme di esseri umani" (Turner 1986. 159).
Durante la marcia la città si ferma, i negozianti sospendono il loro lavoro e i bordi delle strade si popolano di fedeli e spettatori silenziosi. Anche alcune signore anziane e inferme provvedono a portarsi in strada per poter assistere, come sempre, al passaggio della processione.
Il percorso della processione si estende in tutta la vecchia Mottola confluendo nella parte più antica della città: la Schiavonia. Le vie strettissime rendono faticoso lo spostamento dei complessi statuari. In questo punto della processione gli astanti quasi scompaiono e lo spazio è completamente occupato dal corteo.
Il percorso non è solamente per la comunità ma anche per la città stessa. Una sfilata che si scontra con i muri del paese e li investe di una forte carica spirituale veicolata dalle effigi sacre. Uscita dalla Schiavonia si raggiunge la Chiesa Madre dove l' Addolorata e Gesù accompagnati dalla banda e dal Parroco compiono un giro attesi dal resto della processione.
Giunti alla Chiesa della Madonna del Carmine, epilogo del percorso, le stesse due statue vi entrano accompagnate dalla banda che suona la marcia funebre mentre la processione, lentamente, si scioglie. Molti fedeli erano già in chiesa ad attendere Madre e Figlio. Posate le statue il silenzio si rompe e i presenti le raggiungono per sfiorarle in un gesto di sentita devozione prima di abbandonare la chiesa.
In strada le file si sciolgono e per i confratelli è giunta l' ora di togliere i cappucci e riprendere contatto con la propria individualità. Le altre statue del corteo vengono riportate in ordine all' interno della sede della Confraternita.
La fine della processione segna per tutti il termine delle grandi manifestazioni in attesa che la resurrezione del Cristo sia annunciata il giorno successivo.

- Testo tratto da "La Settimana Santa a Mottola" di Giovanni Azzaroni, C.L.U.E.B., Bologna, 2010.
- Foto a cura di M. Carriero (Sabato Santo 2001), tratte da "La Chiesa e la Confraternita del Carmine, Mottola - Storia e Riti" di Stefano Matarrese, Tipolitografia Vito Radio Editore, Putignano, giugno 2004.



** Esprimo il mio doveroso e più sentito ringraziamento ai carissimi amici Pietro Convertino e Stefano Matarrese per aver concesso la pubblicazione del presente materiale fotografico sulla Settimana Santa Mottolese.